mercoledì 13 aprile 2011

Solo in Tibet

…ti succede di portarti un vassoio con cibo semplice, sciapo, quasi più banale di quello che prepari a casa tua, in una sala affollata coi tavoli di legno senza tovaglie e, appena seduta, essere raggiunta da un gatto non proprio pulitissimo ma molto beneducato, con la bocca deformata da un brutto tumore, che si siede a sua volta sulla panca, con la coda ben riposta sotto il sedere, e ti osserva mangiare, senza chiedere niente. Quando ti fai coraggio e pensi che nonostante l‘aspetto spaventoso è una creatura bisognosa di compagnia, lo carezzi, come fanno tutti gli altri nella sala passandogli accanto, e lui, a te e agli altri, mostra compostamente di gradire. Chiedi alla persona seduta vicino a te se il gatto riesce a mangiare con il labbro inferiore in quello stato. E ti viene detto che sì, mangia, ma forse non riesce a lavarsi. Tu guardi il gatto e pensi ad alta voce che non è poi così sporco, e non puzza. Con l’altra persona, arrivate insieme alla più logica delle conclusioni: che lo lavano gli altri gatti. E all’improvviso pensi che di simili esempi di pietà e tenerezza ne vorresti vedere più spesso negli umani.
Pensi alle persone ospiti della struttura che in questa sala accettano la presenza di un animale, per di più deforme, mentre mangiano: chissà se è solo un effetto di questo posto e del rispetto che i monaci e il personale residente dimostrano per ogni forma di vita, chissà se queste persone a casa poi raccattano gatti investiti, cani del canile, animali sfortunati da rattoppare, o invece no; ma ti sembra difficile, quantomeno, che siano di quelli che chiamano la donna che fa le pulizie “quella scema di una filippina”.

…ti succede di essere seduto per terra, con un plaid Ikea verde chiaro avvolto intorno al corpo, un bel mal di testa da studio, e crampi ovunque a forza di scrivere su un tavolino di legno basso, e sentire il vento che fischia e sbatte gli alberi intorno al tempietto. E mentre guardi la serena espressione del monaco che ti sta spiegando dei concetti filosofici tostissimi con passione e evidente gioia di insegnare, ti succede di chiederti se veramente tra Marta e Maria non aveva ragione Maria che aveva mollato tutto, lavori di casa impegni gente da ricevere, e stava a bersi gli insegnamenti sulle verità ultime e assolute, beata, per ore, come fai tu in questa parentesi di soli due giorni. Ti succede di dirti che è incredibile che alla gente servano soldi, macchine, piscine, tecnologie avanzate per sentirsi contenti, quando dieci persone accucciate per terra in una piccola sala colorata possono ricevere tanta ricchezza dalla voce di un ometto gentile, magro, che sta lì vestito solo di un po’ di cotone bordeaux mentre fuori nevica.

…ti succede di pensare a tantissime cose della tua vita da un’ottica completamente diversa, distaccata, ma non fredda. Di chiederti se puoi farlo veramente, se puoi davvero trasformare ogni tuo istante in qualcosa di così dolce e di così discreto come l’atteggiamento delle persone di qui: se potresti correggere i tuoi alunni con più amore, con la voce più bassa, e se ti capirebbero lo stesso, se potresti in qualche modo trasportare un granello di questa pace nel cuore di alcune persone che conosci, che si tormentano e si torturano e fanno cose indescrivibili per un’eredità, per un vecchio rancore, per una mala parola, e se capirebbero cosa intendi.

…ti succede di parlare con una donna che ti chiede se tu dici alla gente quel che fai, che vieni qui a studiare e pregare, o se ti vergogni, se hai paura che non capiscano. E ti succede di rispondere come la pensi, e spiegare perché per un intero anno hai preferito passare sotto silenzio con la maggior parte dei tuoi parenti, colleghi e conoscenti, soprattutto di una certa età, il percorso che stai facendo. E poche ore dopo, seguendo il monaco che parla e accorgendoti di quanto stai portando di positivo nella tua vita semplicemente ascoltando, ti succede di pensare ai dubbi che ti facevi all’inizio, come se lasciare la religione della tua famiglia e della tua cultura fosse una vigliaccata, una scelta di comodo. Pensi alla serenità e alla solidità che hai trovato. E che ti dispiace così tanto che molti altri non solo non siano qui, ma non abbiano neppure idea che qui si trovi qualcosa di veramente buono. E pensi che non parlerai di questo ovunque e a chiunque, come hai fatto finora, ma che a domanda diretta adesso la tua risposta potrebbe essere diversa da quella che davi fino alla settimana scorsa.

…ti succede che hai l’improvviso ricordo di tutto quello che hai lasciato fuori dalla porta entrando qui: i casini familiari il figlio che non arriva la gelosia la politica che fa schifo i conti da pagare gli scazzi quotidiani l’Amore Sbagliato i sensi di colpa le paure le ansie le difficoltà le domande i momenti di solitudine l’inadeguatezza la rabbia le vecchie ferite la paura della morte; e che questo ricordo cozza in modo incredibile con quella specie di lago tranquillissimo che ti ritrovi adesso al posto del cuore, senza un’onda, senza un suono, scintillante, fermo e pulito sotto un cielo stellato.

…ti succede che quando giri le spalle al monastero, col tuo quaderno pieno di appunti, la tua copertina dell’Ikea e le chiavi della macchina in mano, e ti avvii verso il parcheggio, camminando sulla ghiaia mentre il sole di una limpida giornata invernale fa risplendere gli stupa colorati, sai di andare alla tua vita, e di andarci più forte, e che tornerai presto, e non sei triste; però, anche se da questo posto sei già andata via altre volte con dispiacere, ti accorgi stupefatta che stavolta stai piangendo.

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