La prima volta che ho messo piede in un gompa buddhista, dopo aver fatto il salto, ho pensato con dolore alle minoranze che vivono in Italia. Ho pensato al fatto che, per un cristiano, ad ogni angolo c'è una chiesa in cui entrare a pregare e accendere una candela. E che per me e quelli come me ci sono salette con pavimenti di legno, a più o meno duecento chilometri l'una dall'altra, in media.
Di colpo, il tavolo nell'atrio al quale siedono i ragazzini che non fanno l'ora di religione ha acquisito per me un significato completamente nuovo. Il cielo grigio sopra Torino mi è sembrato pieno di dolore e solitudine. Di esilio.
E' passato un anno da allora. Io mi sono rafforzata e la mia rete di conoscenze e relazioni all'interno del microcosmo dei buddhisti italiani è migliorata. Ma la prima lezione imparata dal nuovo punto di vista è una lezione di giustizia, ed è sempre presente nella mia mente.
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