mercoledì 13 aprile 2011

Nuovomondo

Non bastavano due blog, eh? Uno per scrollarsi di dosso il lavoro e le sue gioie, le sue ansie, la profonda trasformazione che ogni giorno mi attraversa, da quando mi sono consegnata anima e corpo a un mestiere che è una missione, nè più nè meno come quella del medico. E un altro, inaccessibile ai più, per parlare delle molte domande che mi fanno esitare sulle soglie di una maternità che forse non desidero veramente.

Ce ne vuole anche uno per dire l'esilio, il viaggio, la speranza, il desiderio di silenzio, la DISTANZA che ho preso da tutto, la distanza che MI HA PRESO, da quando quindici mesi fa, con naturalezza, ho fatto un minuscolo passo che covava da otto anni e, come una buccia secca che cade, mi è caduta di dosso l'educazione religiosa e morale ricevuta e coltivata per una vita; e mi si sono spalancati mondi immensi, colorati e pieni di vento e di persone, affollati di umanità puzzolente e sorridente e sofferente, umanità sozza, povera, ignorante e capace di miracoli, testarda nel cercare egoisticamente la sua piccola fetta di gioia e, a volte, altrettanto testarda nel resistere al male con abnegazione e purezza assolute.

I passi sulla ghiaia, da quando dopo un anno quasi esatto da quel momento mi sono ritirata tre giorni nel mio Tibet, mi mancano ogni giorno.
Contingenze poco felici della vita mi hanno costretto a rinunciare a un secondo appuntamento con il mio monastero, ma sono pronta a ripartire, tra meno di dieci giorni, per immergermi di nuovo nella pace che ho provato, per la prima volta da non saprei dire quando, nella sala di preghiera.

Però la mia vita è qui. Col lavoro che amo, i miei alunni, con mille problemi e disastri quotidiani di piccola e sconfortante entità. E questo blog serve a ricordarmi che sono IO che devo portare qui il monastero, non il monastero che deve diventare la mia fuga. Il monastero è solo un luogo. Il luogo più sereno e pieno di divino che abbia visto. Il luogo che con la sua semplice quotidianità batte ogni cattedrale, ogni santuario, ogni pomposo monumento alla spiritualità umana. Ma solo un posto, e, a renderlo quel che è, è lo sforzo giornaliero di persone come me.

E' difficile a volte non sentirsi molto soli, dopo anni di frequentazione di una religione pubblica, volta all'esterno e riconosciuta da tutti come ovvia, anche nelle sue manifestazioni più arcaiche.

E' difficile non idealizzare altre culture, che sembrano così lontane dall'attuale squallido porcile in cui ci dibattiamo quotidianamente.

E' difficile non parlare di quel che succede dentro di me da quando lo yoga, poi la meditazione, l'esistenza del buddhismo e infine lo studio del buddhismo tutto intero si sono man mano presi spazio nella mia persona. Ma parlarne è ancora più complesso, perchè è come il germogliare di una pianta, il comparire di una ruga, il consumarsi delle montagne, che si vedono solo comparando le foto di un giorno a quelle di uno successivo.

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