Sto preparandomi a partire per il quarto modulo del mio corso all'ILTK.
Il tema è tosto: si parlerà dell'importanza di avere un maestro spirituale.
La mia compagna di corso, Allegra, non è particolarmente interessata a questo tema, quanto al fatto di passare tre giorni lontano da tutto (è medico ospedaliero a Milano, lei). Insiste che, dato che a Cecina ci sono le scuole e l'ospedale, dobbiamo gettare il cuore oltre l'ostacolo e trasferirci là per sempre. In effetti sono certa che un cinecircolo sia proprio quello di cui Rosignano Marittimo abbisogna per essere ancora più bella. Ho invece qualche dubbio sulla possibilità dell'Uomo di resistere alla vita di coppia in una casetta di legno ecosostenibile di due vani più bagno.
Io vado perchè, mannaggia, ho già perso due moduli (ai quali tra l'altro non riesco nemmeno a iscrivermi online) e devo assolutamente rimettermi in pari.
L'argomento pareva ostico anche a me: maestri e allievi va bene, guru nella vita ne ho incontrati, che fossero in ambito religioso o meno, per cui so che esistono e sono disponibile a ricevere insegnamenti da gente degna di stima, ma è la parola discepolo che è un po' pesante: fa tanto setta, fa tanto credere ciecamente e rinunciare al pensare con la propria testa, insomma, a una come me dà abbastanza fastidio.
Volenterosamente però assisterò al modulo perchè fa parte del mio corso, e per prepararmi un po' mi sono munita di un testo didattico, così ho già potuto fare molte utili distinzioni, che condivido qui.
Prima di tutto presento la fonte da cui ho attinto, un nome che non può suonare nuovo se chi legge ha una cultura sul buddhismo tibetano. E' Alexander Berzin, uno dei massimi studiosi mondiali della lingua e della cultura del Tibet che, filologicamente, ricostruisce i veri significati dati ai termini "maestro" e "discepolo" in una cultura lontanissima dalla nostra. Il testo a cui faccio riferimento è "Il rapporto con il maestro spirituale" edito in Italia da Ubaldini.
Primissima distinzione fatta giustamente da Berzin: il rapporto con i maestri in Occidente è totalmente diverso da quello che hanno in Oriente, anche perchè gli insegnamenti, là, quantomeno erano in passato, ma sono in buona parte ancora oggi, rivolti quasi esclusivamente a monaci (maschi, educati interamente nei monasteri o nelle residenze degli eremiti fin da piccoli) per cui il rapporto che si instaurava era fondamentalmente di tipo filiale o comunque affettivo. Il bel film documentario "The unmistaken child", biografico, illustra bene questo rapporto tra il monaco Tenzin Zopa e il suo maestro prima, e tra Tenzin Zopa e il bimbo che è identificato come reincarnazione del maestro, poi. Inoltre i monaci imparano in buona parte a memoria i testi su cui devono meditare e si esercitano per mesi e mesi nel dibattito filosofico (in particolare se appartengono alla scuola gelug, che è appunto quella di Pomaia, quella del Dalai Lama per capirci).
Noi invece accediamo agli studi buddhisti in età perlopiù adulta e con una cultura diversa alle spalle, improntata sul razionalismo scientifico, il materialismo, la tecnologia, il cristianesimo etc etc.
Accediamo da uditori a corsi che prevedono pochi giorni all'anno di frequenza e studiamo e pratichiamo (chi di noi lo fa) da soli, la maggior parte del tempo. Abbiamo un lavoro e una famiglia fuori dalle mura del monastero, e non partecipiamo alla vita dei nostri maestri vivendo e lavorando con loro, aiutandoli e servendoli come fossero i nostri genitori, cosa che invece fa parte dei compiti dei discepoli tibetani.
Nella lingua sanscrita e in quella tibetana si distingue tra la guida spirituale, guru o lama, che dovrebbe essere colui la cui realizzazione è talmente completa che illumina i discepoli con la sua sola presenza e parola, l'erudito che fa da insegnante, detto ghesce o anche kenpo, che spiega i testi e i concetti da conoscere, e l'amico costruttivo, traduzione letterale del termine ghesce, che vuol dire colui che con le sue azioni ti mostra la via del Dharma, quindi il maestro. La parola shenyen, che forma la seconda parte del termine ghe(we)-she(nyen), significa amico e parente, il che rimanda a quel rapporto familiare di cui dicevo sopra.
In realtà il termine lama sia in Oriente che in Occidente è usato per indicare in genere il monaco di alto rango, che ha studiato a lungo e praticato per anni, e può dare l'ordinazione dei voti e gli insegnamenti agli altri, quindi finisce per confondersi con ghesce.
Il discepolo ha vari nomi a seconda che sia uno studente, un praticante laico, un consacrato o un asceta, ma il termine che corrisponde a ghesce è getrug, che significa bambino costruttivo. Bambino perchè è giovane nella crescita spirituale e costruttivo perchè deve costruire una saggezza ed un comportamento conformi all'insegnamento del Buddha.
Non bisogna dimenticare che il buddhismo è una psicologia, una filosofia, ma anche uno stile di vita, e un insieme di rituali tradizionali, e giustamente esistono molti tipi di insegnamenti: teorici, etici, pratici e legati alle ritualità esteriori.
In sostanza, ci ricorda Berzin, esistono diversi tipi di maestro e diversi tipi di allievo, a seconda di cosa si stia imparando.
Ed è qui che la cosa ha cominciato per me a farsi interessante, dato che non so mai come definirmi quando cerco (maldestrissimamente) di rispondere alla difficile domanda su "cosa sono" e "cosa faccio" quando vado all'ILTK e quando studio a casa.
Berzin ha risposte molto chiare per tutto: una come me è prima di tutto una studentessa di buddhismo e in tal senso può avere come insegnante un monaco ma anche un laico, quindi è lo stesso seguire un corso dell'ILTK o un corso approfondito di una facoltà universitaria che si occupi di culture orientali.
Però esiste anche l'aspetto del "vivere da buddhista" e "trasformare la propria consapevolezza" e questo è quel che ci viene realmente insegnato a Pomaia, perchè la parte di studio teorico in realtà è demandata più che altro alla buona volontà individuale (volontà che nel mio caso ammonta a due quadernoni pieni zeppi e uno scaffaletto di testi). Questo tipo di insegnamento di carattere etico è propriamente il Dharma, quindi una come me è anche allieva di Dharma presso insegnanti di Dharma.
Esistono poi (e questo a Pomaia lo facciamo) istruzioni relative alle pratiche meditative e rituali, quindi si è apprendisti nella meditazione e nei rituali. Questo tipo di insegnamenti agli studenti del mio corso viene impartito da monaci e monache che fanno da assistenti all'insegnante del modulo.
E' la parte che devo ancora sviluppare perchè non conosco bene pratiche e preghiere e non mi decido mai a dedicarmi seriamente alla meditazione, sebbene stia lavorando sulla disciplina che dovrebbe favorire la concentrazione e, quindi, l'attività meditativa. Per chi fosse messo come me, cioè male, nel senso di non poter frequentare spesso un centro di Dharma e essere pertanto impedito anche nel farsi spiegare le più semplici pratiche come la prostrazione, consiglio i divertenti video di Tsem Tulku Rinpoche, di cui trovate il blog qui: http://blog.tsemtulku.com/.
[Se questo monaco vi pare strano e il suo blog è un po' tanto occidentale, vi ricordo che è cresciuto negli USA con una famiglia adottiva, o affidataria; oggi dirige una fondazione in Malaysia. Non so se sia un personaggio discusso, io gli preferisco Tenzin Zopa che sì, scrive un blog divulgativo, ma è quanto di più nepalese come formazione, in ogni caso i video di Tsem Tulku sulla prostrazione sono veramente la cosa più vicina a farsela spiegare dal vivo che possiamo trovare in rete.]
Si diventa realmente discepoli solo quando si prende rifugio (e cioè si entra a tutti gli effetti a far parte del buddhismo). Dopodichè si esprimono, volendo, i voti laicali o monastici (si dice in questo caso che si è membri della discendenza di un dato precettore, cioè di una data persona che ha fisicamente trasmesso il rifugio, oppure voti e iniziazioni: questo perchè tradizionalmente ogni insegnamento avanzato è stato ricevuto a voce da un maestro che lo ha ricevuto dal suo maestro e così via indietro fino ai discepoli diretti del Buddha storico). Sarebbe bene che si trattasse del proprio maestro di Dharma, ma non è obbligatorio.
Eh? Cosa dite? Non ve ne fregava niente?
Scusate: dovevo ripassare!!! Non ho studiato altro per una settimana...
Il saluto tradizionale tibetano tra maestro e discepolo:
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