Il mio incontro con le reliquie dei grandi bodhisattva si è svolto in due fasi. Prima ho cercato di condividerlo con mia madre, ma è bastato un attimo per rendermi conto di avere sbagliato.
Il sabato mi sono presentata con lei al palazzo della Provincia e ho curiosato, ma non ho voluto fermarmi più di tanto: la vedevo insofferente, avevo ritenuto, sbagliando, che avrebbe apprezzato di più l'opportunità di conoscere una cultura che, comunque, io e lei costeggiamo da tempo attraverso lo yoga e le vacanze a Pomaia. Ma devo dire che, per quanto i suoi interessi spirituali siano vasti, anche nel cattolicesimo se c'è una cosa che lei aborre sono le reliquie, le esposizioni, le novene, insomma tutta quella parte rituale molto esteriore.
Io invece cercavo di dirmi che andavo a vedere il tour delle reliquie per curiosità, per interesse anche storico, ma la verità è che ero dispiaciuta di aver lasciato a casa la mia mala, emozionata nel vedere i piccoli vasi con le reliquie di Gautama Siddhartha, e soprattutto invidiosissima di quanti erano seduti sulle sedie imbottite a lato dell'esposizione e profondamente immersi in meditazione e preghiera. Non ho voluto fermarmi molto, ma andando via pensavo con dispiacere che l'India è lontana e io viaggio poco, e che chissà quando mi sarebbe mai ricapitata una cosa del genere.
Così, il giorno dopo ero di nuovo in autostrada, stavolta munita di mala, libriccini di meditazione e un intero pomeriggio da dedicare al mio minipellegrinaggio.
Credevo che ci sarei stata un'oretta e non pensavo di prendere la benedizione, anche se un lama e una monaca erano presenti per impartirla tutto il giorno, a turno.
Sono uscita quasi due ore e mezza dopo, benedetta una volta dal lama, una volta dalla monaca, e addirittura dopo aver fatto benedire la Daisy (avevo visto che un sacco di gente portava gli animali domestici, e in effetti, un po' per gioco un po' sul serio, sentivo di dover ripagare il piccolo cane bianco per tutto il bene che mi fa: e poi chi dice che nella prossima vita io non sia a soffrire in un canile municipale e lei non sia una persona, e magari un'ottima persona, visto quanto affetto sa dare agli altri anche da cane).
Ma soprattutto ho passato due ore splendide, piene di serenità, immersa in una concentrazione che a casa da sola raggiungo di rado.
Rispetto al sabato, c'era un viavai di gente di gran lunga più numeroso e rumoroso, e molti la prendevano in modo abbastanza turistico. C'è da dire che, come sempre nelle situazioni buddhiste, se un monaco non sta insegnando non ha la minima centralità nella stanza, anzi è silenzioso e defilato in un angolo, persino questi due che tenevano in mano un piccolo stupa contenente reliquie del Buddha storico. Il visitatore perciò si sentiva libero di entrare e fare le varie cose che si potevano fare. Tutti si inchinavano alle reliquie, ai monaci e alla statua.
Qualcuno si prostrava.
Qualcuno versava acqua e zafferano sul capo di una piccola statua di Buddha bambino.
Qualcuno suonava gli strumenti rituali, i piccoli cimbali e la campana tibetana, i bastoncini di legno.
Qualcuno faceva le foto.
Qualcuno circoambulava la pedana, sui quattro lati della quale erano esposte piccole teche con resti vari, frammenti ossei e concrezioni minerali tratti dai resti delle cremazioni, capelli, pezzettini di stoffa, oggetti di culto appartenuti a grandi maestri e ai Dalai Lama, e anche un piccolo frammento di foglia di banano su cui una delle più rispettate figure femminili di bodhisattva, Yesce Tsogyel, ha scritto un testo sacro.
Qualcuno faceva la fila per prendere la benedizione.
Qualcuno scriveva con una penna dorata, ricalcando frasi di un testo di Dharma stampate in azzurrino su un libro, e questo l'ho fatto anche io, mi è piaciuto tantissimo pensare alla simbologia di questo gesto.
Qualcuno meditava a occhi chiusi.
Qualcuno sgranava una mala.
Mi sentivo a casa.
Devo prendermi del tempo per scrivere sui riti e le forme esteriori di culto che sto man mano incontrando durante il mio percorso. Per ora, questo è il mio reportage.
[Yesce Tsogyel era una principessa tibetana che visse durante il IX secolo e divenne una yogini (maestra di meditazione). Guru Padmasambhava fu il fondatore del buddhismo in Tibet e l'origine della tradizione Terma del lignaggio Nyingma del buddhismo tibetano. Yesce Tsogyel fu la consorte tantrica di Padmasambhava, di cui trascrisse molti insegnamenti esoterici di Padmasambhava su rotoli di carta, nascondendoli in diversi luoghi.]
Interessante, specialmente per il clima rilassato e l'angolo meditativo.Non mi sarebbe dispiaciuto far qualche foto alle reliquie per un mio progetto dedicato ai Buddisti. Sarà per il prossimo passaggio.
RispondiEliminaInteressante.
RispondiEliminaSono passata di qua per dirti Buon Natale. Auguri.