domenica 19 giugno 2011

Il concetto di Dio parte seconda

Secondo motivo per cui è interessante studiare una religione che non fa riferimento a Dio: il senso di colpa e l'idea della punizione divina.

Riassumo con un brano che è, ovviamente, tratto da esperienza personale, quindi non pretende di essere nè corretto nè esaustivo, ma so che alcuni di quelli che leggono si riconosceranno in certi passaggi.

Cresci in una famiglia borghese con aspettative alte nei confronti dei figli, vai a catechismo, vai a scuola, ti iscrivi all'università, fai volontariato.

Impari il valore del farti il mazzo, coltivi l'ambizione di essere la migliore, gusti il piacere della competizione leale, conosci bene le tue risorse perchè le hai spremute al massimo.

Però hai anche dei limiti, dei punti deboli, delle imperfezioni, delle falle. E ti torturi perchè è colpa tua, non dovresti, non hai fatto abbastanza, non dovevi cedere, non dovevi mollare, non sei ancora abbastanza forte / brava / equilibrata / esperta.

Butti ore, ore, ore a tormentarti e a cercare di punirti. Nessuno ti dice che sbagli nel farlo, anzi ti incoraggiano a far penitenza e a dare ancora di più.

Lassù, da qualche parte, Dio guarda e giudica, tu vai a confessarti e ti dicono che devi fare meglio, che hai sbagliato, che Dio è giusto ma è severo. E tu, di fronte alla palese ingiustizia umana di chi si fa scudo dell'ira divina, vai avanti a studiare l'Inferno dantesco, le guerre sante, le immagini medievali di diavoli neri enormi che torturano povere anime nude.

E il peccato originale. Il peccato che ti macchia quando ancora sei un embrione. E che devi espiare in qualche modo, anche se non sei stato tu. E oltretutto ti inculcano sottilmente che, non ci fosse stata di mezzo una donna, non sarebbe successo.

E la famiglia, i valori della famiglia. La verginità. La castità, la purezza, anche nei pensieri. La forza di resistere alle tentazioni come un campione della fede. Vincere il male, vincere la tentazione, vincere il premio finale, vincere sempre qualcosa, essere sempre migliori di se stessi e di qualcun altro, e insegnare agli altri a migliorarsi.

Poi un giorno scopri la vita, quella vera. Quella dove la gente perde. Dove le donne lavorano e si arrangiano da sole più e meglio degli uomini, dove per avere qualcosa che ti sei già meritata devi anche pestare i piedi e gridare, dove l'orgasmo è un'esperienza sconvolgente di fusione e non un affievolirsi momentaneo dell'impulso sessuale, dove la gente lotta, soffre, sbaglia, muore, tradisce, distrugge, e viene tradita, uccisa e distrutta. Dove la legge è quella del più forte e chi si mette a tappetino a espiare e a rimproverarsi i propri errori non va avanti, non solo rispetto agli altri, ma anche rispetto a se stesso.

E allora tiri fuori le unghie, perchè la stoffa ce l'hai, ce l'hai sempre avuta, e ti fai valere, ma mentre lo fai ti sembra di imbruttire, di essere cattiva, sporca, peccatrice. E noti intorno a te un mondo di nevrotici che si torturano, che si mutilano per paura di sbagliare, e tu stessa cadi preda di mille sintomi psicosomatici, ordini della tua psiche, del tuo corpo, impulsi contraddittori che ti squartano in direzioni diverse, e stai male, malissimo. Ed è ancora una volta colpa tua.

E Lui è sempre lassù che guarda. E ti sembra incredibile che ce l'abbia con te e le tue debolezze, dopo aver visto quanta merda c'è nella vita reale.

Poi un giorno ti stanchi, ti senti presa per il culo. Trovi che ti è bastato. Che non spenderai un minuto di più a sentir magnificare quant'è bella la castità e quanto è mirabile il sacrificio e come bisogna saper rinunciare, rinunciare, rinunciare e sorridere sempre, anche di fronte al peggior bastardo che si approfitta di te perchè sei buona.

E te ne vai. Ti hanno rifiutato l'assoluzione. Ti sei alzata e te ne sei andata da un posto dove ti inculcavano che eri inferiore, sempre, comunque, e per definizione. E sei sola. Col tuo brutto carattere, la tua intelligenza e il tuo desiderio di giustizia.

E secondo loro Dio dovrebbe punirti per questo.

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